
Le Storie che Non Nutrono
Vi è mai capitato di seguire un telegiornale, un talk show politico o una lunga discussione tra amici o parenti e alla fine sentirvi più arrabbiati, confusi o svuotati che arricchiti?
Succede spesso.
A volte non ce ne accorgiamo, ma ci sono storie che non ci fanno bene.
Non perché siano “brutte” o raccontate male, ma perché ci lasciano addosso emozioni tossiche: paura, rancore, ansia, ostilità.
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Il talk show che invece di chiarire alimenta solo scontro e urla.
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La chiacchierata a cena con il parente che parla sempre di “quanto va tutto male”, senza mai aprire uno spiraglio di speranza.
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Il reality in cui ci si diverte a ridere dell’umiliazione di qualcuno.
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L’evento “culturale” del paese che promette arricchimento, ma alla fine non lascia nulla.
Tutti questi esempi sono narrazioni. Storie che viviamo quotidianamente senza accorgerci, e che invece lasciano un segno.
Segni che peggiorano il nostro benessere, che non ci nutrono, non ci aprono, non ci fanno crescere.
Per imparare a riconoscerle, abbiamo costruito dei criteri semplici: domande che ognuno può farsi per capire se una storia è nutriente oppure no.
Vediamo qualche esempio:
Esempio 1: Il talk show urlato
In TV assistiamo a dibattiti che promettono di informarci, ma che spesso finiscono solo in risse verbali. Politici, opinionisti, giornalisti che parlano sopra gli altri, senza ascoltarsi.
🔹 Perché lo sto guardando? Probabilmente per abitudine, per avere “informazioni”.
🔹 Cosa mi resta? Non più conoscenza, ma più rabbia.
🔹 Che emozioni ho sentito? Ansia, nervosismo, fastidio.
🔹 Ruolo che mi assegna: spettatore passivo, ridotto a guardare uno spettacolo di litigi.
🔹 Perché vuole che io stia lì: non per informarmi davvero, ma per tenermi incollato allo schermo con rabbia e tensione.
Risultato: non ci nutre. Non ci rende cittadini più consapevoli, ci abitua alla polarizzazione e al conflitto sterile.
Esempio 2: La discussione a tavola
Una cena in famiglia può trasformarsi in un interminabile lamento su quanto “va tutto male”: la politica, i giovani, i tempi moderni.
🔹 Perché sono li? Perché voglio condividere un momento con le persone a cui voglio bene.
🔹 Cosa mi resta? Ansia, rassegnazione, la sensazione che non ci sia speranza.
🔹 Che emozioni ho sentito? Sfiducia, pesantezza.
🔹 Ruolo che mi assegna: sacco dove scaricare frustrazione, senza possibilità di dialogo.
🔹 Perché vuole che io stia lì: chi parla vuole solo sfogarsi, non ascoltare né costruire uno scambio.
Risultato: non è una storia che nutre. Non costruisce futuro, non apre possibilità, non rafforza i legami.
Esempio 3: Gli “eventi culturali che non lasciano segni”
Manifesti pieni di iniziative: il libro del pensionato, lo spettacolo amatoriale senza preparazione, la serata con la cover band... ecc. Tutto chiamato “cultura”.
🔹 Perché sono qui? Perché è gratis, perché “c’è qualcosa da fare”, perché conosco e mi ha invitato chi canta, suona, recita o ha scritto il libro.
🔹 Cosa mi resta? Poco o nulla: a volte persino la sensazione di aver sprecato tempo.
🔹 Che emozioni ho sentito? Noia, disinteresse.
🔹 Ruolo che mi assegna: presenza numerica, pubblico da contare per “fare evento”.
🔹 Perché vuole che io stia lì: non per arricchirmi, ma per dimostrare che qualcosa è stato organizzato, che “il paese è vivo”.
Risultato: non ci nutrono. Creano saturazione e svalutazione della cultura autentica.
Perché è importante riconoscerle
Non tutte le storie sono uguali. Alcune ci accendono, altre ci spengono.
Saper distinguere non è un esercizio teorico: è un modo concreto per prenderci cura del nostro benessere e della nostra comunità.
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