
Quando nascono le Storie?
Il linguaggio non lascia fossili, e i pensieri non lasciano tracce.
Capire quando i nostri antenati hanno iniziato a parlare e raccontare è uno dei misteri più complessi e affascinanti della nostra storia.
Ma oggi molti studiosi concordano su un punto:
il linguaggio e le storie nascono perché l’essere umano ha sentito il bisogno di cooperare.
Di fare insieme.
E per cooperare, serve fiducia.
Intorno al fuoco, centinaia di migliaia di anni fa...
Oltre un milione di anni fa, l’Homo erectus (un nostro lontano antenato) viveva in piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori.
Avevano scoperto il fuoco e, grazie a questo, avevano iniziato a radunarsi ogni sera intorno ad esso.
Non solo per scaldarsi o mangiare, ma per condividere ciò che era successo e organizzare ciò che sarebbe accaduto.
Lì, accanto al fuoco, nascono le prime forme di racconto.
E fin da subito si avvalgono di quello che sarà, e resta ancora oggi, lo strumento più potente delle storie: l’immaginazione.
I racconti non si riferiscono mai al qui e ora, ma sempre a qualcosa che è già accaduto o deve ancora accadere:
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“Domani andiamo a caccia: tu vai da quella parte, io da quest’altra.”
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“Attenzione a quel punto del fiume, ieri ho visto orme di predatori.”
Senza la capacità di immaginare, nessuna storia sarebbe possibile.
Il linguaggio serve a immaginare
Il linguista Daniel Dor lo ha definito così:
“Il linguaggio è una tecnologia che serve a istruire l’immaginazione.”
Il linguaggio si è evoluto per istruire e facilitare l’immaginazione:
per permettere agli altri di vedere con la mente ciò che non è davanti agli occhi.
Chi raccontava di una carcassa trovata lontano dal villaggio doveva trasferire quell’immagine al gruppo, così da agire insieme.
Questo è possibile solo se chi ascolta si fida di chi racconta.
Le storie sono nate dalla fiducia
Pensaci: se non ci fidassimo degli altri, non potremmo cooperare.
E se non ci raccontassimo nulla, non potremmo capirci, né organizzarci, né crescere insieme.
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Le levatrici dovevano fidarsi per aiutarsi durante il parto
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I cacciatori dovevano fidarsi per seguire un piano condiviso
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I genitori dovevano fidarsi per alternarsi nella cura dei figli
Senza fiducia, nessuna narrazione
Senza narrazione, nessuna vita sociale
Senza vita sociale, nessuna umanità
Il linguaggio è una tecnologia relazionale
È uno strumento collettivo, relazionale, vivo.
Come un utensile in pietra, si è evoluto per essere sempre più utile alla cooperazione e alla condivisione dell’esperienza.
Attraverso il linguaggio possiamo far vedere agli altri:
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cose che non ci sono
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luoghi lontani
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futuri possibili
Ecco perché il linguaggio ha permesso la nascita delle storie:
per immaginare insieme, e poi fare insieme. Per stare insieme.
Le storie ci rendono umani
Le storie sono nate per metterci in relazione.
Per vivere meglio, più a lungo, più uniti.
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Sono nate da un bisogno biologico
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Si sono sviluppate in un contesto sociale
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Continuano a vivere ogni volta che ci raccontiamo qualcosa per capirci, aiutarci, orientarci
Le storie servono per vivere.
Ci fa bene inventarle.
Ci fa bene ascoltarle.
Migliorano la nostra vita. Ci proteggono e ci immunizzano.
Ogni ascolto è unico
Ogni storia, anche quando è sempre la stessa, cambia ogni volta che viene ascoltata.
Perché chi ascolta è una persona diversa. Con un vissuto, uno stato d’animo, una sensibilità unica.
Le storie non esistono “di per sé”: esistono nella relazione che attivano.
C’è chi si commuove, chi si irrita, chi riflette, chi si distrae.
Non perché la storia è giusta o sbagliata, ma perché la viviamo con tutto quello che siamo in quel momento.
Ascoltare, quindi, non è un gesto passivo. È un incontro.
Un gesto che può trasformarci — se impariamo a riconoscerlo.
L’interesse è il punto d’incontro
Perché una storia ci tocchi, ci trasformi, ci nutra, serve una condizione fondamentale:
dobbiamo esserci dentro.
L’interesse (dal latino inter-esse, “essere in mezzo” ) è il legame che ci unisce a ciò che ascoltiamo.
È un ponte che ci connette a chi racconta e a ciò che è raccontato.
Non è solo curiosità, ma una partecipazione attiva. Una disponibilità a mettere qualcosa di noi in gioco.
Ogni volta che una storia ci prende, ci coinvolge, ci chiama a rielaborare ciò che ascoltiamo, stiamo partecipando.
Siamo in mezzo, tra chi parla e ciò che accade, tra chi siamo e chi potremmo essere.
Le storie, per funzionare, devono generare interesse.
E quando succede, non siamo più semplici spettatori: diventiamo parte della relazione.
È in quel punto di mezzo, in quello spazio relazionale, che le storie fanno il loro lavoro più potente:
ci avvicinano agli altri
e ci fanno sentire umani.
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